Freaks out e le persone fuori dal comune.

Ho visto Freaks out nonostante non sia il genere che di solito ricerco al cinema e nonostante non ami i film per certi versi mainstream: quelli che tutti guardano perché distribuiti molto bene.

Ritengo però, che quando un regista italiano riesce a mettere insieme un’opera come questa, meriti comunque attenzione. Per questo motivo ho deciso di vederlo, ma non solo. Il film è centrato sul tema della diversità intesa come valore e opportunità e non necessariamente come diffenrenza, limite o peggio motivo di discriminazione.

Ambientato durante la seconda guerra mondiale, il film racconta la storia di 4 personaggi da circo, ciascuno con le sue peculiarità, scelti perché hanno alcune caratteristiche predominanti. Freaks appunto. Sono: Matilde, ragazza capace di inviare scosse elettriche, Cencio, capace di guidare e gestire gli insetti, Fulvio, ricoperto di peli e dotato di una forza sovraumana e Mario, affetto da nanismo, capace di attirare gli oggetti metallici.
I quattro lavorano nel circo di Israel, un uomo di religione ebraica che gestisce il circo con grande dedizione. C’è la guerra e il circo viene presto bombardato, gli ebrei costretti ai campi di concentramento, mentre i quattro freaks riescono a fuggire. Israel propone di cercare fortuna in America mentre Fulvio vuole farsi assumere al Berlin Zircus di proprietà di Franz, nazista tedesco con sei dita della mano e poteri di chiaroveggenza.

Israel sparisce dopo aver raccolto soldi e adesioni per partire per l’America, mentre i quattro freaks decidono di separasi. Matilde decide di cercare Israel convinta della sua buona fede. Nella fuga, viene salvata da un gruppo di partigiani dopo essereera sfuggita a un tentativo di stupro. I partigiani, capitanati da Gobbo, cercano di trattenerla e aiutarla a ritrovare Israel nella speranza che Matilde metta a loro disposizione la sua elettricità. Nel frattempo Franz ha avuto la premonizione del suicidio di Hitler e dell’arrivo di quattro esseri dotati di poteri sovrumani. Vuole quindi radunare i freaks della zona, torturarli nel tentativo di individuare i salvatori. Fulvio, Cencio e Mario vengono assunti e sottoposti a torture su ordine di Franz. Venuta a conoscenza delle reali intenzioni di Franz, grazie ai partigiani, Matilde cerca i suoi tre amici, allo scopo di salvarli. Viene però catturata e trattenuta nel circo da Franz, che organizza uno spettacolo per dimostrare a tutti i poteri soprannaturali dei quattro, in modo da convincere i generali presenti allo spettacolo che possano essere utilizzati nella guerra. Durante lo spettacolo, Matilde scopre di poter controllare il proprio potere, non riuscendo nonostante le insistenze di Franz, a fulminare una tigre.

I quattro freak vengono chiusi in una cella e viene appiccato il fuoco per punirli. Matilde riesce a far saltare la porta e a salvare tutti. Nuovamente insieme, fuggono dal berlin Zircus e decidono di cercare Israel, inseguiti da Franz e dal suo esercito. Riescono poi a intercettare i treni della morte e a salvare gli ebrei, ma vengono raggiunt ida Franz e dai suoi uomini. Questi a loro volta vengono raggiunti dal gruppo di partigiani capitanati dal Gobbo e inizia una violenta battaglia, in cui i tedeschi sembrano avere la meglio. Matilde però, salvata da Israel che si sacrifica per lei, interviene ancora e mette a disposizione tutta la sua elettricità per scatenare una violenta esplosione. Non solo. Comprende di non avere più paura del proprio potere e delle proprie capacità.
Finita la battaglia, Franz si suicida e quattro nuovamente uniti, possono riabbracciarsi.

Un film spettacolare e straordinario insieme, ricco di effetti speciali e costumi e trucco da premio Oscar, è una perla di originalità nel panorama del cinema italiano. Recitato in modo impeccabile, in particolare segnalo un Pietro Castellitto (Cencio) in ottima forma, con un’interpretazione perfetta, una bravissima Aurora Giovinazzo (Matilde), un perfetto Claudio Santamaria (Fulvio) e un sorprendente Giancarlo Martini (Mario).
Meritano attenzione anche Franz (Franz Rogowski), molto centrato nel ruolo, Max Mazzotta (il partigiano Gobbo), mimica facciale eccezionale e il sempre bravo Giorgio Tirabassi (Israel).
Colpisce Gabriele Mainetti alla sua seconda importante prova da regista, che riesce con giochi formidabili di inquadrature e con un racconto serrato e mai banale a raccontare una storia credibile e fantastica insieme, onirica ma molto attuale, ricca di metafore e spunti di riflessione, pur contando su un cast eccezionale e in cui certamente ha trovato conferma.

Le cose che restano

Tempo fa ho voluto celebrare il mio ritorno al cinema con un documentario che è una vera perla nel mondo del cinema.

Presentato alla Mostra del cinema di Venezia fuori concorso, per la regia di Giorgio Verdelli, il documentario racconta la vita artistica di Ezio Bosso. Direttore d’orchestra, pianista e compositore, Ezio Bosso, scomparso a maggio del 2020, ha attraversato la sua breve vita esplorando la musica e proponendo le proprie opere con rara intensità.

L’amore per la musica lo ha accompagnato in ogni istante e lo ha spinto oltre tutti i limiti, compresi quelli, quasi sempre vissuti come apparenti e mai come impedimento reale, tracciati dalla malattia contro la quale ha combattuto per molti anni.

La sua conoscenza, la sua abilità con vari tipi di stumento musicale, la sua cultura profondissima e la sua enorme sensibilità, ne hanno fatto uno degli artisti più rappresentativi degli ultimi anni. Una sensibilità la sua, capace di andare oltre ogni apparenza, oltre ogni pregiudizio: sensibilità che probabilemnte si aspettava anche dalle persone che lo circondavano e lo spingevano ad agire sempre da uomo libero, andando fino in fondo all’obiettivo.

Un anarchico del mondo reale, del mondo dell’arte.

Il documentario racconta la vita di Ezio Bosso certo, ma soprattutto il suo infinito amore per la musica.

E c’è di più: suggerisce una profonda riflessione su ciò che resta, non solo inteso come ciò che non si allontana da noi, ma anche come ciò che ci viene lasciato dopo la morte.

Un’esperienza, quella che viviamo durante la visione, struggente e intesa, capace di lasciare una traccia profondissima dettata da una personalità così articolata, così complessa e per questo così unica.

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